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[Storia] La cenere dei nostri peccati – Capitolo Otto

La cenere dei nostri peccati

– Capitolo Otto –

Si mosse qualcuno alle sue spalle e frapposto tra di noi gli mollò un gancio destro scaraventandolo sul bancone. Piombò un silenzio inquietante ma non fu nulla al confronto dello sguardo infuocato di quel vampiro che poi riconobbi. Tristan aveva un rivolo di sangue che gli cadeva dalle labbra e mi guardava incredulo tuttavia non fu la cosa che mi fece più male fu la delusione che gli fece scintillare gli occhi che mi fece capire di aver sbagliato di grosso.

”Ehi amico. Che stai facendo. Quell’umana è mia” gli gridò contro il giovane.

Si voltò di scattò e sentii un rumore tipo quello di un serpente in fase di avvertimento.

”Tristan, presumo” sputò il vampiro mingherlino che scese dal bancone scrollandosi i pezzi di vetro. Tristan si voltò ignorandolo e fece un passo verso di me. Avrei voluto indietreggiare pur di non rispecchiarmi in quel volto mostruoso e nella mia mente mi ci vedevo benissimo che lo facevo però avrei soltanto peggiorato la situazione. Mi prese in bracciò come fossi una bambina ed io mi tenni stretta a lui.

”Come fai a dire che è tua se non è nemmeno marchiata. Come facevo a saperlo”

”te l’ha detto no?” tuonò il mio salvatore aumentando la presa su di me.

”che ti serva d’avvertimento” si guardò attorno e aumentò il tono di voce ” che serva da avvertimento a tutti. Quest’umana è mia e nessuno dovrà mai provare a toccarla se non volete ritrovarvi contro la mia furia” detto questo uscì di li per infilarmi in un taxi e accompagnarmi a casa.

Non fiatai per tutto il tragitto anche perché non sapevo che dire, la testa mi doleva e non volevo fargli capire che ero completamente ubriaca.

Scesi dal taxi sempre tra le sue braccia mi scortò in camera sua e una volta messa sul letto iniziò a fare su e giù per la stanza senza dire nulla.

Con malavoglia mi tolsi gli stivali liberando i miei poveri piedi da quella stretta infernale.

”Come ti è saltato in mente?” mi urlò contro Tristan senza fermarsi.

”tu mi hai lasciata sola” dissi biascicando tutte le parole e questo fu necessario a farmi stare zitta.

”perché secondo te non ti ci ho portata in quel bar eh? Mica pensavi mi andassi a divertire?” non risposi e mi guadagnai un grugnito. Aveva centrato in pieno quello che pensavo.

”è assurdo” protestò lui. ”adesso cosa pensi dovrei farti? Non posso più fidarmi di te” sollevai i capo e lo guardai terrorizzata senza riuscire a controllare le mie emozioni. Mi alzai e gli caddi ai piedi implorandolo.

”Tristan ti prego. Ho sbagliato me ne rendo conto. Puniscimi se vuoi. Picchiami se lo ritieni necessario ma non dubitare del mio amore perché non è mai stato così vivo per nessun altro.”

”Picchiarti?” balbettò lui inorridito anche solo dal pensiero ”Chi mai vorrebbe farlo?”

lo sguardo mi cadde sul pavimento e indietreggiai appena senza rispondere. Sentii la sua ira aumentare e penetrare nella sua voce. ” Nina..cosa non mi hai detto” iniziò , io scossi il capo incapace di metterlo a parte del mio segreto.

Si sedette di fronte a me cercando il mio sguardo di colpo docile.

”Nina, parla. Prometto che non mi arrabbierò con te ma dimmi la verità. Andrà tutto bene”

”non posso. Io stessa me ne vergogno” le mani le usai per coprirmi il viso dai suoi occhi che però riuscirono a fare breccia sebbene aiutati dalle sue possenti mani.

”Qualcuno ti ha fatto del male questa notte?” singhiozzai cercando di trattenere le lacrime e gli risposi di no. Non si arrese ormai aveva la pulce nell’orecchio e non se ne sarebbe andato finché non gli avessi detto la verità. Il problema era che non volevo perderlo è una volta raccontata quella disgustosa vicenda probabilmente lui non mi avrebbe mai voluta. Ed io cosa avrei fatto se lui non mi avesse più desiderata? Non potevo vivere senza di lui e se un tempo ci riuscivo ormai non sapevo più come si faceva.

”Nina. Non chiuderti in te stessa, parlane con me. Fidati di me” sollevai lo sguardo al suono di quelle parole e iniziai a parlare. Così senza che nessuno potesse fermarmi perché la fiducia che avevo letto nel suo sguardo mi sarebbe bastata per un eternità. Mi fidavo della sua voce, di lui ed era giunto il momento di parlarne.

”All’età di nove anni io e mio fratello siamo rimasti orfani per colpa di un brutto incidente. La macchina dei nostri genitori si schiantò contro un camion alla quale guida c’era un pazzo ubriaco ci dissero quando ci recammo all’ospedale. Ash si recò all’obitorio per riconoscerli e quando uscì mi fu così chiaro che qualcosa in lui non era più la stessa che presi ad indietreggiare ogni volta che tentava di toccarmi.

Successivamente molti parenti si erano fatti avanti per reclamare il mio e soltanto il mio affidamento però Ash non l’aveva concesso. Era maggiorenne poteva prendersi cura lui di me mi diceva tutte le volte che io insistevo perché accettasse quell’aiuto liberandosi di me.

Quando compii dieci anni iniziò a farmi lavorare e quando per caso mi rifiutavo o anche solo piangevo mi picchiava con una cinta di cuoio che porta tutt’ora sempre con se.” lo guardai sgranare gli occhi ed irrigidirsi fino a diventare una statua solo gli occhi si muovevano seguendo le mie lacrime che scivolavano giù dal mio viso.

”mi dispiace Tristan. Mi dispiace da morire. Se tu non mi vuoi più lo capisco”

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