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[Storia] La cenere dei nostri peccati – Capitolo Cinque

La cenere dei nostri peccati

– Capitolo Cinque –

Gli presi la mani che prima aveva mantenuto il toast e assaggiai le dita pulendole dalla marmellata e poi passai alle labbra. Rimasi in bilico solo per due secondi giusto il tempo per fargli capire che non volevo andasse via. Lo baciai con evidente trasporto tanto che perse ogni inibizione e liberato il tavolo con una bracciata mi ci spinse sopra bloccandomi con il suo corpo.

Mi sbottonò la camicia quel tanto che bastava per scoprirmi un seno per poi fermarsi di punto in bianco. Si tirò indietro cadendo sulla sedia con lo sguardo perso nel vuoto. Io mi misi a sedere ansimante e confusa dal suo comportamento. Si alzò mi prese il viso tra le mani accarezzandomelo con il pollice e scosse il capo andando via. Io me ne rimasi lì imbambolata a guardarlo infilare la porta di corsa invasa dalla delusione, aspettando ancora le parole che gli avevo visto morire sulle labbra.

Scesi dal tavolo dopo mezz’ora circa e aiutai i domestici a rimettere a posto dimenticandomi almeno per tutto il tempo che potei di pensare a cosa l’avevo fatto scappare così. Forse un altra donna mi dissi una volta che fui nella mia stanza. Magari era sposato con una bellissima vampira ed io ero stata una debolezza. Mi dispiacque pensarla a quel modo perché lui non lo era stato per me.

Mi chiusi in camera a fantasticare sulla donna che avrebbe potuto rubargli il cuore e tutte le immagini che mi attraversarono non erano per niente confortanti. Come avrei fatto a competere con donne immortali dalla pelle liscia, i lunghi capelli setosi e gli sguardi magnetici. Semplice non potevo.

E ripensando a quelle idee mi ritrovai sveglia fino alle quattro di mattina disperata perché non era ancora tornato. Andai in giro per la casa e trovai una camera che sembrava arredata per una bambola. Immaginai fosse la stanza che Tristan aveva fatto preparare per me, o meglio che stava facendo preparare dato che c’erano ancora decine di lenzuola poggiate sui mobili e la polvere per quanto si vedeva che stessero provvedendo regnava sovrana. Chiusi a chiave la porta e mi stesi sul letto addormentandomi subito.

Per la seconda volta fui svegliata dallo strano rumore di finestre che battono e con la fronte imperlata di sudore guardai in giro per la stanza senza trovare nulla. Avevo il fiatone e per di più i brividi. La sensazione di non essere sola non era forte come la prima volta però c’era. Respirai profondamente e mi calmai almeno finché qualcosa mosse la maniglia della porta dando degli scossoni. Il cuore mi si bloccò in gola e mi preparai a gridare come non avevo mai fatto.

La porta venne scossa da un violento fremito finché la maniglia non cedette sotto il peso di qualcuno di davvero forte cadendo al suolo. Cessai di respirare quando la porta fu aperta con così tanta forza, da farla andare a collidere con il muro staccando un pezzo di intonaco. Il viso di Tristan non mi rassicurò come pensavo. Era pallido e furioso allo stesso tempo mentre con passo malfermo raggiunse il mio letto guardandomi.

Era stanco, l’avvicinarsi dell’alba gli faceva sempre quest’effetto. Lo prosciugava a tal punto da farlo somigliare ad un morto che cammina. Ricambiai lo sguardo sollevata di vederlo lì, ma allo stesso tempo fuori di me perché mi aveva lasciato e se ne era andato. Allungò una mano per accarezzarmi il viso dopo essersi accucciato accanto a me sulle punte dei talloni.

Mi ritrassi al suo tocco e lui non insistette. Si defilò senza aggiungere nulla e forse fu l’espressione un po’ delusa, un po’ colpevole che mi costrinse a ripensare a quello che avevo fatto convincendomi a raggiungerlo in camera sua. Era venuto solo per me non potevo trattarlo male, non si meritava la mia freddezza visto che in teoria era il mio padrone e aveva scelto di trattarmi come una regina senza rinchiudermi in una soffitta costringendomi a svolgere le faccende.

Entrai nel suo nascondiglio che erano appena le cinque e mezza senza riuscire a vedere nulla e a senso riuscii a raggiungere il suo lato senza far cadere o urtare nulla. Respirava regolarmente e questo mi indusse a pensare che stesse dormendo così mi chinai a baciarlo. Non era per nulla addormentato e la sua risposta repentina mi lasciò credere che sapesse che l’avrei raggiunto una volta ritrovata la retta via.

Gli posai una mano sulla guancia e lo cercai con un bacio passionale che pensai fosse un modo sufficiente per chiedergli scusa. Mi fece spazio ed io mi stesi accanto a lui sentendomi al sicuro. Il suo tocco non tardò ad arrivare rassicurandomi. Mi sfiorò il braccio con le dita per poi scendere sulla coscia e giocare con il bordo dei boxer. Mi poggiai su un fianco tanto vicina al suo corpo da percepirne il calore. Infilai il capo sotto il suo mento e respirai il suo odore lasciandolo divertirsi ad esplorare il mio corpo.

Ero parecchio convinta che vedesse meglio di quanto mi fosse dato conoscere dato il suo tocco preciso e cancerogeno per me. Gli baciai il collo facendolo scattare azzerando la distanza tra noi e afferrata la gamba sinistra se la portò sul fianco. ”non hai paura di me?” mi chiese in sussurro. Quasi risi per il suo stupore e mi ci volle un po’ prima di smettere di assaggiarlo ” sei molto meglio di quello che dai a vedere. Perché dovrei averne?” la mia sincerità lo fece sorridere e mi guadagnai un abbraccio da quello che secondo i suoi servitori era l’uomo più freddo e strambo del mondo.

Morivo dalla voglia di chiedergli il motivo della sua fuga solo ero sicura non avrebbe risposto, quindi non me ne presi il fastidio.

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