Storie

[Racconto] Sogno Ingannatore.

Mi svegliai alle prime luci dell’alba come non facevo da molto tempo.

Scesi in cucina e aprii il primo armadietto a destra della porta. Tirai fuori lo scatolo dei cereali e lo versai nella mia tazza preferita, quella con sopra disegnato un piccolo asinello blu con la coda attaccata da uno spillo.

Quando finii, salii in camera mia e aprii la grande finestra, affacciandomi con la testa poggiata sulle braccia.

Il vento mi cullava dolcemente come solo lui sapeva fare e io mi abbandonai al dolce profumo che portava con sé il primo giorno di primavera. Gli alberi erano ormai quasi tutti fioriti, così come le viole sul davanzale.

 

L’alba era il momento della giornata che preferivo. C’era una strana pace dei sensi che aleggiava nell’aria, nessuno si sognava di fare schiamazzi o di litigare a quell’ora. Tutta la città dormiva.

Non avevo mai capito perché avessi smesso di svegliarmi a quell’ora. Fino ad oggi.

Era il momento in cui io e papà facevamo dei grandi viaggi mentali ai quali a volte si aggiungeva anche la mamma. Sognavamo di andare in posti mai visti, con bellissimi cieli azzurri, enormi distese di fiori e tanti, tantissimi animali. Avevo smesso perché papà non faceva più parte della famiglia o meglio, non faceva parte della famiglia secondo quanto sosteneva la mamma. Da quando si erano lasciati molte cose avevano incontrato il loro capolinea.

Tutti i loro sogni erano andati in frantumi quando mia mamma aveva deciso che non ce la faceva più. Litigavano sempre lei e papà ora per un motivo ora per un altro. Ricordo che avevo solo dieci anni quando è successo e come disperatamente nel riparo del mio letto, avevo sperato che tornassero insieme.

Mi addormentavo piangendo nella speranza che Dio mi ascoltasse. Crescendo, ahimè, ho capito che i miracoli non esistono; quando hai sedici anni capisci che nessuno può cambiare quello che è stato e che se vuoi qualcosa, non c’è nessun essere superiore che ti aiuta, te la devi cavare da sola.

Anche quando litighi con il tuo ragazzo vale la stessa regola. E tu ti disperi perché tutto sembra così definitivo tanto che la morte ti appare l’unico rimedio.

 

Anche quel giorno in casa non c’era nessuno. Mamma era partita per un altro viaggio con il suo nuovo compagno, Robbie. Non che mi dispiacesse a dire il vero, era già da un po’ che ci avevo fatto l’abitudine. Lei d’altronde, aveva cambiato completamente stile di vita. Usciva molto più spesso, tornava tardi la sera e io passavo sempre più tempo con le mie paure. Non riuscivamo mai a parlare di niente che non fosse il lavoro, la scuola e il suo adorato Robbie. Ogni tanto fermava il suo ritmo frenetico per chiedermi del mio ragazzo, ma non appena rispondevo, si immergeva nuovamente nella sua vita. Come se tutto l’affetto che provavamo un tempo, si fosse ridotto ad una serie sterile di convenevoli.

Da quando aveva lasciato papa, aveva iniziato anche a fare carriera rifacendosi degli anni in cui non si era potuta mettere al primo posto.

 

La scuola. Mi rifugiavo lì più tempo possibile, perché così non sentivo i miei litigare, adesso era diventata la mia seconda casa.

Ian era l’unica nota positiva nella mia vita. Ciononostante, a volte anche per lui sembravo essere un peso come per mia madre e non me ne davo pace.

 

All’improvviso un brivido mi percosse tutta la schiena e mi costrinse a rientrare e a chiudere le finestre. Presi la mia amata felpa nera con il cappuccio imbottito e uscii di casa.

Erano ancora le sei e mi incamminai verso il mio posto preferito. L’unico posto che nessuno conosceva, uno dei pochi dove nessuno aveva osato spingersi. Lo avevo trovato qualche anno fa mentre passeggiavo senza prestare attenzione a dove mettevo i piedi, ero caduta ovviamente e ruzzolando giù da un sentiero mai visto avevo sbattuto la testa contro un masso. Mi ci erano voluti svariati minuti per rendermi conto del panorama che avevo di fronte e lasciatemi dire, valeva il bernoccolo sulla mia fronte. La boscaglia fitta si diramava avvolgendo un lago cristallino che profumava di salato. Intorno aleggiava un’aria incerta, insolita per un posto incontaminato come quello.

Una volta lì, mi sdraiai come sempre sul bordo e osservai la calma e la perfezione scorrere d’avanti a me. Era un lago enorme, dall’acque blu come il gioiello che appare nel Titanic, il cuore dell’oceano, circondato su tutti i lati da monti. Insomma un luogo magico con una sua storia e un suo fascino. Ecco perché era il mio posto preferito. Ci andavo molto spesso quando litigavo con Ian e ultimamente, succedeva ordinariamente.

Lui era un angelo di ragazzo, mi piaceva chiamarlo il mio angelo con i suoi folti capelli neri e gli occhi come due zaffiri. Erano i più belli che avessi mai visto al contrario dei miei che erano di un verde strano difficile da descrivere, visto che cambiavano a seconda del tempo; quel giorno per esempio erano color smeraldo vivo.

Era, come dicevo sempre, un ragazzo dolce ma ultimamente andava tutto storto ora per un motivo ora per un altro; non potevo farne una colpa né a lui né alla mia famiglia: ero io a non andare. Mi sentivo sempre più fuori posto ovunque. Pensare che nei primi tempi in cui stavamo insieme era così facile, bastava un sorriso, una carezza un abbraccio o nel peggiore dei casi un bacio e tutto passava come se non fosse mai successo. Quanto si è ingenui durante la primavera dell’amore?

L’unico che mi capisse era il mio papà, un tipo dolce e gentile molto ingegnoso, uno spirito eternamente giovane insomma. Stava sempre fuori, adesso per un motivo adesso per un altro. Di amici non ne avevo nessuno perché era dall’età di 10 anni che non mi fermavo più di qualche mese in un posto. E si sa qualche mese non è mai abbastanza per formare un’amicizia solida. Per fortuna quell’anno riuscii a puntare i piedi e a tornare nel luogo dove sono nata dove almeno qualcuno lo conoscevo.

 

Mi sedetti su una delle rocce che c’erano lì e mi misi ad ascoltare il dolce rumore del frusciare degli alberi, la mia musica preferita. Scesi dalla grande pietra dove avevo inciso il mio nome qualche tempo prima e mi incamminai. Percorsi per qualche ora tutto il perimetro del lago. Ad un certo punto mentre stavo camminando udii una voce calda e molto familiare provenire dall’interno del bosco. Chiamava il mio nome ”Avril” diceva. Sbattei le palpebre primo perché non sapevo di chi fosse, cosa strana perché se c’era una cosa che non dimenticavo erano proprio la voce delle persone che incontravo, secondo chi si era spinto fin li? Questa era la domanda più importante alla quale non riuscivo a dare una risposta. Mi infilai nella fitta boscaglia. Sentivo ancora chiamare il mio nome, ma questa volta si intensificava ad ogni mio passo. Mi misi a correre ma distrattamente inciampai perdendo l’equilibrio e rotolai giù. A rallentare la caduta fu un cespuglio che investii mentre cadevo. Mi alzai e mi spazzolai i vestiti pieni di foglie. Mi guardai attorno e il panico mi assalì.. Non avevo la minima idea di dove fossi capitata. Va bene, poco male pensai, bastava risalire il ripido sentiero e sarei tornata nella parte di bosco che conoscevo. Iniziai ad incamminarmi quando la voce tornò a chiamarmi. Mi reclamava e io come potevo non consegnarmi a lei?. Mi chiamava con tanta dolcezza che a volte sembrava commuoversi lei stessa. Cercai di ragionare, dovevo tornare indietro ad ogni costo perché se avessi continuato non avrei mai trovato la via di casa, ma la curiosità era tanta così come il desiderio di capire a chi appartenesse quella voce. Mi sembrava molto familiare ma proprio non riuscivo a collegarla ad un viso. Decisi di seguirla. Volevo scoprire di chi fosse . Continuai a seguirla senza badare alla via di ritorno che andava inesorabilmente svanendo. Senza accorgermene stavo correndo. Correvo a perdifiato verso una meta sconosciuta. Uscita dalla boscaglia mi trovai d’avanti un enorme distesa di erba alta che mi arrivava alle ginocchia, sbarrai gli occhi perché la voce smise di ripetere il mio nome e io non sapevo dove mi trovassi. Mi guardai attorno, dov’ero finita???. Nel più totale silenzio udii una cosa strana, un rumore . Cosa insolita visto e considerato che da quelle parti non c’era nessuno.. Mai. Mi voltai alla mie destra e con mio stupore vidi un lupo venire nella mia direzione. Non era un lupo come quelli che vedi nei documentari o nei quale ti imbatti camminando in un bosco durante una battuta di caccia. Era enorme e aveva degli occhi bellissimi. Ci scambiammo occhiati furtive, io ero tesa ma allo stesso tempo affascinata dal fatto che quel lupo mi ricordava il mio ragazzo. Era una cosa buffa ma aveva i suoi stessi occhi . Il suo stesso blu abissale che ti faceva inesorabilmente sprofondare nella sua anima se solo glielo permettevi. Gli porsi una mano non sembrava cattivo almeno a me non dava questa sensazione. Si avvicinò in silenzio verso di me piano piano. Si fermò a pochi centimetri. Dopo aver fatto dondolare lo mano per diversi minuti decise finalmente di annusarla e di poggiarci infine il suo grande capoccione. La voce melodiosa riprese a pronunciare il mio nome e il lupo iniziò a tirami la maglietta. All’inizio non capii cosa volesse, poi ci arrivai. Voleva che lo seguissi cosi decisi di farlo. Oltrepassammo la radura e ci addentrammo sempre più nel bosco-. Un bosco che per me non aveva niente di familiare. Non mi sembrava nemmeno di riconoscere un solo filo d’erba. Arrivammo dinanzi ad un enorme bivio. Mi aspettavo che lui mi guidasse ancora ma no, improvvisamente si era fermato e mi scrutava. Sembrava che questa volta toccasse a me scegliere. Mi concentrai e dopo qualche momento di riflessione decisi di andare a destra da dove mi sembrava che provenisse la voce. Appena misi piede sulla stradina lui iniziò a correre e, dopo aver appurato cosa stesse accadendo, iniziai a correre anche io. Correvo velocissima ma non sapevo se sarebbe bastato. Con il fiatone, questa volta ci fermammo davanti ad una grotta enorme . La scrutai attentamente, era molto profonda e non si vedeva il fondo. Non si vedeva nemmeno uno spiffero di luce. Il lupo iniziò a spingermi dentro la grotta ma protestai e cosi lui si arrestò voltandosi dall’altra parte. Mi voltai per tranquillizzarlo ma quella spaventata ero io adesso. Aveva le orecchie contro la testa la coda bassa e ringhiava. Non feci nemmeno in tempo ad avvicinarmi che un enorme puma gli era saltato addosso e adesso lo stava uccidendo. Non sapevo cosa fare mi guardai intorno ma non trovai niente di utile. Continuai a tastare il terreno con i piedi fino a che non trovai un bastoncino ma era troppo piccolo. Mentre io cercavo un oggetto contundente, il puma aveva spinto via il lupo contro un albero e adesso era a terra. Si stava avvicinando a me e mi guardava con aria feroce. Non ci pensò due volte saltò mi saltò addosso. Per fortuna il mio amico si era ripreso e gli era avventato contro, sbattendolo contro un tronco massiccio. Adesso era la belva feroce ad essere a terra. Ma non passarono nemmeno due minuti che subito erano di nuovo a combattere. Uno combatteva per lasciarmi andare l’altro per farmi restare lì per sempre. Il mio amico però stava avendo la peggio, il puma gli affondava sempre più nella carne cosi presi un bastone abbastanza grosso e gli e lo diedi in testa. Dovetti raccogliere tutto il coraggio che avevo per compiere quel gesto. Il puma perse i sensi e il mio dolce amico tornò da me zoppicante. Continuò a spingermi via da lì. Voleva che entrassi nella grotta,”non voglio ho paura” dissi al mio amico che scosse la testa e continuò a spingermi dentro. “Non posso andare tu hai bisogno di me” ma lui continuava a spingermi dentro, poi sentii ancora quella voce e finalmente capii a chi appartenesse. Era la mia mamma. Era le che mi chiamava, così decisi di entrare nella grotta e di risponderle. Mi voltai per vedere se il mio amico era ancora li ma purtroppo non c’era più. Non lo avevo nemmeno salutato. Mi dispiaceva tantissimo. Comunque continuai a cercare ma la voce smise di chiamarmi e io mi bloccai. Riflettendoci su non aveva senso tornare alla vita di sempre, tornare dalla mia mamma; lei aveva sempre da ridire. Papà ormai era capitolo chiuso e senza contare che il mio ragazzo e io non navigavamo più in acque tranquille. Decisi di arrendermi. Mi sedetti contro la parete e mi cinsi le ginocchia. All’improvviso due voci mi chiamarono. Alzai immediatamente la testa e mi asciugai le lacrime: mamma e papà erano loro ora che mi chiamavano. Insieme. Come era possibile. Questo poteva voler dire solo una cosa. Mi alzai e cominciai a camminare. Dopo un po’ correvo forte, non potevo crederci mia mamma e il mio papà di nuovo insieme. Nel buio pesto scorsi uno spiffero di luce e dopo un attimo di esitazione decisi di attraversarlo.

Mi sveglia in un letto di ospedale con un sacco di tubi inseriti nel mio povero corpicini pieno di raschi e lividi. Cercai di parlare ma non ci riuscii, alzai un po’ lo sguardo e vidi mia mamma con la testa sul materasso, la mano nella mia stretta ma con delicatezza. Mi guardai attorno per quello che potevo, visto che mi faceva molto male la testa e il collo. Vidi mio padre su una sedia con le mani incrociate che dormiva segnato da due occhiaie molto accentuate. Cercai di stringere la mano a mia madre ma prima di riuscirci dovetti fare innumerevoli tentativi. Si alzò di soprassalto e andò a chiamare l’infermiera che una volta arrivata le disse che io stavo ancora dormendo. Com’era possibile? Successivamente mi accorsi che avevo gli occhi a fessura e che l’infermiera non se ne era accorta, cosi feci uno sforzo e finalmente gli aprii. Per la gioia di mia madre e del mio papà ci riuscii. Mi vennero ad abbracciare, mia madre con il viso invecchiato e molto stanco. Mi sembrava di avere la bocca impastata ma con fatica riuscii a dire.”Dov’è” Ian?”

Mia madre mi rispose che era sceso un attimo a prenderle un caffè perché aveva bisogno di sgranchirsi le gambe. Mia madre mi raccontò che era stato papà a trovarmi dopo le numerose chiamate di Ian e che avevo attraversato la strada senza guardare ed ero stata investita da un auto che andava a tutta velocità e che ero rimasta quasi un mese in coma. I dottori avevano perso tutte le speranze, ma i miei genitori e Ian no, hanno continuato a chiamare il mio nome per molto tempo. Finché non li ho sentiti e mi sono svegliata. Passarono alcuni giorni quando finalmente mi lasciarono tornare a casa. Mia madre aveva deciso, con mia grande sorpresa, di tornare insieme a mio padre, io avevo deciso di rimettermi con il mio amato Ian e, beh, noi avevamo deciso di tornare ad essere una famiglia unita.. Papà aveva trovato un lavoro fisso e mamma aveva deciso di non viaggiare più aveva deciso di rimanere a casa con me. Personalmente del sogno che ho fatto non ricordo niente, se mai ho sognato mentre ero in coma, ma la sera del mio rientro a casa stavo in macchina quando mi affacciai al finestrino e vidi un grosso lupo nero. Come il bracciale che Ian mi aveva regalato poco dopo che siamo tornati insieme. Non dimenticherò mai quel lupo lì di come mi guardava ma ancora di più non dimenticherò il modo in cui tornò a guardami Ian.

 

♡ You know: ♡ ♡ Songs find you ♡. ♡ Poems find you ♡. ♡ People find you ♡. ♡ Lou ♡ 22 ♡ Italy ♡Addicted to Madness ♡. Sono una regazza che adora il profumo dei libri e che qualche volta, li scrive anche. Trovate le mie storie qui: https://www.wattpad.com/user/MySillyHarryDiary